DA ROMA ALLA TERZA ROMA
XXXVII SEMINARIO INTERNAZIONALE DI STUDI STORICI
Campidoglio, 21-22 aprile 2016
Giovanni Maniscalco
Basile
Università di Roma “Tre”
Associato dell’Istituto di Teoria e Tecniche
dell’Informazione Giuridica del CNR
LE MIGRAZIONI RUSSE VERSO ORIENTE E I RAPPORTI FRA RUSSIA
E CINA NEL XVII SECOLO: FOEDUS AETERNUM ED
ECUMENE
Sommario: 1. L’espansione
russa verso Oriente. – 2. I due imperi. – 2.1. La legittimazione imperiale. – 2.2. La
concezione imperiale del mondo. – 2.2.1. Lo spazio. – 2.2.2. Il tempo. – 3. Foedus aeternum. – 4. Limites imperii. – 5. Opere
citate.
L’esplorazione-migrazione
russa verso Oriente era partita da Novgorod nell’XI secolo, ma era stata bruscamente
troncata nel XIII dall’invasione mongola[1].
Era poi ripresa nel XVI secolo. La via
verso Oriente era relativamente facile. Le grandi pianure, le colossali vie
fluviali siberiane erano comode strade di accesso e gli Urali non erano
ostacoli troppo difficili da superare. Il bottino, poi, era assai ghiotto:
zibellini e altri animali da pelliccia abbondavano nella Siberia settentrionale
e orientale e presto, nel XVII secolo, cominciarono anche a costituirsi
insediamenti agricoli in una terra relativamente fertile, almeno nella Siberia
meridionale.
A differenza di altre espansioni
“coloniali”, come quelle delle potenze marittime europee
occidentali, che erano sostanzialmente finanziate e governate dagli stati,
l’espansione russa era invece affidata a iniziative private, a cosacchi,
avventurieri e commercianti privati, pur talvolta con un’autorizzazione
ufficiale dello Car’. In questa
avventura, la famiglia Strogonov, che aveva ottenuto da Ivan IV una licenza che
premetteva loro di fondare città e altri insediamenti minori oltre gli
Urali a loro spese, ebbe un ruolo importante. Gli Strogonov ebbero da Ivan il
Terribile anche il permesso di formare un esercito a difesa dei loro nuovi
domini.
L’espansione russa nella parte Nord
Occidentale della Siberia fu straordinariamente rapida. In un decennio e mezzo
gran parte di quel territorio era sotto il controllo russo[2].
Nella prima metà del XVII secolo
Tobolsk, Tara, Irkutsk e altri insediamenti ad Est del Bajkal erano stati
fondati ed erano saldamente sotto l’amministrazione russa.
All’inizio della seconda metà
del XVII secolo ebbe inizio l’ultima fase dell’espansione russa
verso oriente: l’esplorazione del bacino dell’Amur.
Questa fase dell’espansione
migratoria portò inevitabilmente a un incontro fra i russi che si
spostavano verso Est e i popoli tributari della più grande potenza
imperiale del tempo: la Cina.
Nell’estate del 1657, alla foce del
fiume Nerča venne fondata la città di Nerčinsk e poco dopo,
nel 1669, la città fortificata di Albazin. Era l’inizio di una
vera e propria colonizzazione. E lo scontro diretto con l’impero cinese
era diventato inevitabile.
Nel corso dell’espansione russa nel
bacino dell’Amur, c’erano già stati scontri locali fra russi
e soldati manchu.
L’imperatore cinese, che in quel
tempo, non era in grado di difendere dall’invasione russa le popolazioni
di confine, ordinò ai suoi tributari di fare terra bruciata: distruggere
i raccolti, macellare gli animali e abbandonare i villaggi[3].
Oltre che dalla scarsezza di risorse, i
russi furono allora messi in ulteriore difficoltà dalla loro
impreparazione militare: poche truppe e armamenti insufficienti. Quando le
truppe manchu, nel 1686, assediarono Albazin, i russi furono costretti ad
arrendersi, abbandonando Albazin al saccheggio cinese, poi però, quando
le truppe cinesi ebbero abbandonato quello che restava della città, la
rioccuparono e, questa volta, resistettero abbastanza a lungo da indurre
l’imperatore cinese KangXi (康熙帝 – Kang Xi Di), secondo della dinastia Qing, a
disporre l’alleggerimento della linea d’assedio e poi toglierlo del
tutto all’inizio delle trattative che sfociarono nel trattato di
Nerčinsk[4].
Dai documenti del tempo, appare evidente
che Russia e Cina si presentavano l’una all’altra come
“imperi,” e questa era stata la ragione principale del fallimento
della prima missione diplomatica ufficiale disposta dallo Car’ russo nel 1649 quando ancora i rapporti fra le due
potenze non erano arrivati alla guerra dichiarata: Fëdor Isakovič
Bajkov aveva ricevuto da Aleksej Michajlovič Romanov il mandato di
consegnare molti doni e una lettera all’imperatore cinese e il divieto di
prestarsi ad atteggiamenti di sottomissione nei confronti dell’imperatore
cinese. Il suo rifiuto di inchinarsi davanti al palazzo imperiale, a consegnare
i doni e la lettera dello Car’ ai
ministri invece che direttamente all’imperatore ne avevano provocato
l’espulsione dalla Cina[5].
L’impero russo era il risultato
dell’annessione da parte di Mosca delle altre città indipendenti
che avevano formato il tessuto di quel territorio politico che i Varjagi
chiamavano “Gar∂ariki”, la Terra delle Città, e poi
dell’espansione verso Oriente.
L’impero cinese poi era il frutto
dell’unificazione dei Regni Combattenti in uno Stato Imperiale (帝国
– DiGuo) o Stato Centrale (中国 – ZhongGuo)[6] da parte
del primo dei sovrani Qin, Qin Shi Huang (秦始皇), che nel 221 a C. aveva assunto il titolo di un suo
mitico predecessore, l’Imperatore Giallo (皇帝 – HuangDi)[7] e del
continuo allargamento delle sue frontiere che era proseguito sino alla
conquista del sud della Cina.
Questi due imperi includevano popoli di
origini e civiltà diverse e avevano generato un “ordine”[8].
È ovvio che per la creazione di un
impero e per la creazione e per il mantenimento di un ordine
“imperiale” è necessario che si formi una larga fascia di
consenso, sia mediato attraverso i governanti dei popoli “annessi,”
sia diretto, degli stessi popoli. E questo consenso può scaturire dalla
paura di una reazione punitiva del governo imperiale oppure dalla coscienza
diffusa della legittimità di quel governo ed anche dalla constatazione
dell’efficacia della sua azione “pacificatrice”, cioè
di garante di quello specifico ordine. E se tale azione era sostenuta da una
forte ideologia che si concretava in una solida dottrina giuridico-religiosa
del potere imperiale, diventava possibile ottenere l’obbedienza dei
sudditi, anche se di culture e civiltà diverse, senza bisogno di
ricorrere alla forza.
È ovvio che un’ideologia del
potere imperiale deve essere in grado di unificare popoli di tradizioni,
lingue, civiltà diverse: nella storia, la prima ideologia capace di
attingere a questo scopo è stato il ricorso a un Dio[9].
Mosca aveva trovato una forza unificante,
tale da giustificare l’annessione delle altre città russe – udely o, più correttamente, zemli di altri principi – dei
khanati di Kazan e di Astrachan e poi delle terre ad Oriente, nella profezia di
Daniele (2 e 7) e nella dottrina di Mosca-Terza Roma con le sue varie
articolazioni, dinastiche, profetiche ed escatologiche.
La Cina aveva invece fatto riferimento a
un’entità molto diversa dal Dio del Cristiani: il Cielo,
un’entità “divina” ma impersonale, regolatrice e
irrogatrice di un’etica di governo, la disubbidienza alla quale
comportava per il sovrano la revoca del Mandato del Cielo (天命
– TianMing) a governare
l’Impero di Mezzo. L’imperatore era Figlio del Cielo (⼦ – TianZi) fino a quando garantiva
l’ordine e l’armonia nel suo impero. Se invece non ne era capace,
il mandato cessava – anche per effetto di una conquista militare, di una
rivolta o di una congiura di palazzo (che si consideravano volute dal Cielo)
– ed era affidato ad in altro sovrano che avrebbe fondato un’altra
dinastia.
Nel corso della cerimonia di incoronazione di Ivan
IV, nel 1547, il Metropolita Makarij aveva proclamato solennemente: «Ecco
che ora da Dio vieni insediato, unto e proclamato gran principe Ivan
Vasil’evič, da Dio incoronato imperatore e autocrate di tutta la
Grande Rus’; e moltiplichi il Signore Iddio gli anni del tuo impero,
ponga sul tuo capo la corona di pietre preziose, ti conceda lunghi giorni, ti
dia il Signore nella tua destra lo scettro dell’impero e ti faccia sedere
sul trono della giustizia, ti circondi con la panoplia dello Spirito Santo,
rafforzi il tuo braccio, sottometta a te tutte le genti barbare …»[10].
Ancor più chiaramente Filofej di
Pskov aveva individuato i confini del potere dello Car’: «Che sia tua la potenza, o pio Car’,
affinché tutti gli imperi cristiani ortodossi si uniscano nel tuo unico
impero, tu unico sotto il cielo Car’ ortodosso»[11].
Mosca era dunque la Terza Roma, unica e
ultima capitale ortodossa, circondata da popoli barbari. E il mandato che Iddio
attribuiva allo Car’ era di
estendere lo spazio della cristianità ortodossa, retta dal timone
dell’imperatore “insediato da Dio,” a tutto il mondo e, nella
impostazione di Makarij – che poi derivava da quella di Iosif Volockij,
la quale a sua volta derivava da quella di Eusebio di Cesarea[12] –
al popolo di tutto il mondo.
Lo spazio “ideologico” della
Russia era dunque l’intera ecumene e tutti i popoli che la abitavano.
Dal canto suo, la concezione cinese dello
spazio del mondo faceva riferimento alla Terra fra i Quattro Mari (四海
– Sihai) sovrastata dalla volta del cielo appoggiata su quattro montagne
sacre. La Cina (中国 – ZhongGuo), lo Stato Centrale, stava
in mezzo a quello spazio e lo governava, circondato da popoli barbari[13].
Un ’antica ode canta:
«Ovunque
sotto il vasto cielo (天之下)
non
c’è terra che non sia del re;
fino
ai confini estremi di quelle terre
non c’è chi non sia suo
suddito»[14].
La Terra era “Tutto sotto il
Cielo” (天下 – TianXia, oppure 天之下 – TianzhiXia) perché i territori non ancora
direttamente retti dall’Imperium dallo
HuangDi gli erano comunque sottordinati, perché barbari o tributari.
Quindi il termine “TianXia” era concettualmente equivalente al
termine russo “vselennaja”,
ecumene: cioè, tutta la terra abitata e anche tutti i popoli che la
abitavano.
Una concezione “imperiale” del mondo
aveva un suo naturale corollario in una concezione “imperiale” del
tempo.
La profezia di Daniele (2 e 7) dava
all’ultimo dei cinque imperi, l’impero romano, una dimensione
spaziale e temporale escatologica: l’ultimo impero era universale e la
sua fine avrebbe segnato lo scivolare del mondo verso l’eternità
di Dio e verso il Suo Terribile Giudizio; la figura dell’imperatore era
immagine speculare di Dio, sia nella teologia politica di Eusebio di Cesarea
che in quella di Iosif Volockij[15].
Lo Car’,
che derivava la sua autorità dal complesso intreccio dinastico-teologico
della teoria della Terza Roma, reggeva un impero ecumenico che sarebbe durato
fino alla Parusia: a tutti gli effetti
un impero “eterno”.
Secondo la concezione cinese
dell’impero[16], il
sovrano governava per mandato del Cielo (天命 – TianMing)[17]. Il termine
“mandato” non rende in modo preciso il campo semantico del termine
cinese Ming – 命, così
come il termine Tian – Cielo
– 天 non
corrisponde al concetto occidentale di divinità. Da un punto di vista
“fisico” il Cielo (almeno nella Cina più antica) è l’ombrello
che ricopre la Terra fra i Quattro Mari, ma almeno a partire
dall’affermarsi della filosofia confuciana (VI-V secolo a. C.)[18], esso
è piuttosto una forza impersonale che rappresenta tutto ciò che,
in natura, è buono e giusto[19].
A questo titolo il Cielo può
conferire mandati e revocarli, perché è nella natura che
governanti buoni governino e governanti cattivi perdano il trono.
Il mandato del Cielo, dunque, è eterno quanto la
natura che rappresenta.
Il trattato di Nerčinsk del 1689 che disciplinava i
rapporti di confine fra Russia e Cina in risposta all’aumentata pressione
migratoria russa verso Oriente, in un certo senso, è più
importante per il suo contenuto ideologico che per i risultati pratici: in particolare
per la Russia.
In un contatto diplomatico avvenuto circa
vent’anni prima del trattato di Nerčinsk, nel 1654, lo Car Aleksej Michajlovič aveva
vantato il suo titolo imperiale in una lettera che non era mai stata ricevuta
dall’imperatore cinese, perché l’ambasciatore russo,
Fëdor Isakovič Bajkov, aveva rifiutato di sottoporsi alle cerimonie
di sottomissione che l’imperatore cinese pretendeva da chi volesse
presentarsi davanti a lui[20].
Alla fine degli anni ottanta del
diciassettesimo secolo la situazione era cambiata. Per l’imperatore della
Cina non si trattava di decidere come trattare un ambasciatore, ma come
comportarsi nei confronti di un popolo emigrava verso i suoi confini e si
stabiliva sulle sue terre, che invadeva il territorio di popoli tributari del
suo impero e ne piegava i capi all’obbedienza, li includeva e li
annobiliava[21],
che fondava città fortificate o che distruggeva villaggi del suo popolo.
E tutto questo, mentre altri disordini di frontiera impegnavano il suo esercito[22].
Le lunghe e faticose trattative[23]
sfociate nel trattato di Nerčinsk sono la risposta di Cina e Russia alla
guerra di confine. Entrambe le parti furono costrette a concessioni
significative: territoriali per la Russia che aveva sperato di fissare il suo
confine meridionale lungo il corso del fiume Amur; territoriali anche per la
Cina che doveva comunque rinunziare alla sua influenza sulle popolazioni che
abitavano a nord dei monti Stanovoj.
Ma la parte forse più importante di
questo primo trattato sta nell’articolo finale del testo latino
concordato dalle due parti come testo ufficiale.
«Concilio inter utriusque Imperii legatos
celebrato, et omnibus utriuisque Regni limitum contentionibus diremptis,
paceque stabilita, et aeterno amicitiae foedere percusso, si hae omnes determinatae
conditiones rité observabuntur, nullus erit amplius perturbationi locus.
[…]
Demum et iuxta hoc idem
exemplar eaedem conditiones Sinico Ruthenico et latino idiomate lapidibus
incidentur, qui lapides in utriusque Imperii limitibus in perpetuum ac aeternum
monumentum erigentur»[24].
Il trattato era stato redatto in tre
versioni, russa, latina e cinese. Nel testo cinese, scritto in lingua manchu,
così si stabilisce[25]:
«Entrambi gli stati, a seguito della pace eterna,
hanno deciso che d’ora in poi tutti coloro che vengono in uno o in un
altro paese, se hanno permessi di viaggio, possono svolgere commercio»[26] […]
È fatta una copia per ognuna delle parti che viene
scambiata e i cinesi, dopo avere fatto delle copie in russo e in cinese, le
intagliano nella pietra posta al confine fra i due stati per farne un monumento
per lungo tempo.
Nel testo manchu, solo l’imperatore
cinese ha il solenne appellativo imperiale che gli compete, Hûwangdi, mentre lo Car’ russo è chiamato
“Oros gurun-i cagan,”
“khan del paese russo”: nelle versioni redatte nelle rispettive
lingue delle due parti, russo e
manchu, nessuna di esse attribuisce esplicitamente all’altra un titolo
imperiale: i russi chiamano Bugdychan[27]
l’imperatore cinese e i cinesi chiamano cagan lo Car’. Ma
nella versione latina, entrambi i contraenti hanno “nome” imperiale
(utrumque Imperium). Ma soprattutto,
nella versione manchu (e non in quella russa), la dimensione temporale
dell’accordo è di “lungo tempo eterna,” (enteheme goro goidame) e le lapidi da
installare lungo i nuovi confini sono destinate a durare “per lungo
tempo” (goro goidara)[28].
È evidente che il foedus aeternum (Alexeeva 2013)[29]
può avere una dimensione “temporale” così estesa in
quanto entrambe le parti contraenti hanno davanti a sé una durata altrettanto
estesa: dunque se entrambe sono imperi in senso giuridico-religioso.
E pur non volendo attribuirgli
espressamente quel titolo di imperatore che Aleksej Michajlovič aveva
vantato sottolineando la sua discendenza da Augusto (Baddeley 1919) lo accomuna alla sua dignità stabilendo
per entrambe le parti del trattato un termine temporale che si puro riferire
solo a un impero: l’eternità, che sola si addice alla maiestas imperiale (cfr. Catalano 1995, 37 e Catalano 2000, 11.).
L’idea della coesistenza di due
imperi potrebbe apparire paradossale, sia in termini di spazio che di tempo:
esiste infatti una sola ecumene “fisica” nello spazio e nel tempo.
Invece il trattato di Nerčinsk
stabilisce una “cosmologia politica” del tutto nuova. Esso mostra
infatti che la coesistenza nello stesso spazio e nello stesso tempo di due
imperi non è un assurdo. È forse solo dei nostri contemporanei
pensare alla Terra come un’estensione finita. Nel XVI e nel XVII secolo,
benché le scoperte di Colombo avessero contribuito a rendere il nostro
globo un po’ più piccolo, lo spazio del mondo non appariva angusto
e delimitato come può apparirci oggi. E lo spazio misterioso interno ai
continenti che i cartografi del Medioevo riempivano con immagini fantastiche o
identificavano con la terra di Gog e Magog[30] apriva
prospettive spaziali che non avevano confini ben definiti.
Sebes (Sebes
S.J. 1961, 113) si chiede se le categorie del giusnaturalismo[31] possano
aver influenzato la struttura del trattato, in particolare per merito
dell’opera di mediazione dei due gesuiti interpreti di parte cinese,
Thomas Pereira e Jean-François Gerbillon, e forse anche di Andrej
Belobockij[32],
l’interprete della delegazione diplomatica russa.
La domanda di Sebes, benché non
abbia risposta precisa nel suo studio al di là della presentazione di
indizi deboli e tutt’altro che univoci, pone comunque un problema che non
può essere risolto in termini esclusivamente pragmatici e di mera
analisi istituzionale[33], ma che
va posta e risolta invece proprio con riguardo allo spazio giuridico e
teorico-politico dell’idea stessa di impero.
E proprio in questo spazio che i tre
interpreti-mediatori di parte russa e cinese sembrano aver svolto la parte
più significativa del loro lavoro. Le differenze fra i due testi, russo
e manchu, in particolare sulle questioni ideologiche più importanti,
fanno infatti pensare ad un’opera di mediazione di tipo
“creativo”[34], nella
quale Pereira, Gerbillon e Belobockij avessero scelto dalle due versioni, russa
e manchu[35].
gli aspetti complementari per costruire un trattato ed un’alleanza che
corrispondesse alle esigenze delle parti più che ai loro desideri[36].
Il trattato di Nerčinsk, comunque,
nasce proprio per tracciare confini. Come si concilia allora l’idea di
confine con quella di impero ecumenico?
Il testo del trattato, quello russo e
quello latino, risponde in modo esauriente a questa domanda.
Nel primo articolo del trattato, si fissa
il primo “confine” fra i due imperi: «Rivulus nomine
Kerbichi, qui rivo Chorna Tartarice Urum dicto proximus adiacet et
fluvium Sagalien Uia influit, limites inter utrumque Imperium
constituet» e, nello stesso articolo: «Item a vertice rupis seu montis lapidei, qui est supra dicti rivuli
Kerbichi fontem et originem et per ipsa huius montis cacumina usque ad mare, utriusque
Imperii ditionem ita dividet …»[37].
Come si vede, il testo latino impiega il termine “limites” per indicare una linea di
separazione fra due “ditiones”
(o dictiones). Non “fines” e “imperium”[38].
Il testo russo[39], poi,
impiega i termini “deržava”
(potenza, facoltà di agire da parte di un soggetto dal potere
sovraordinato) e “gosudarstvo”
(e non “vlast”[40] e
“carstvo”); poi “rubež” (limite-segno di
delimitazione[41])
e non “granica” (confini)[42], che
hanno un significato analogo[43].
È evidente dal testo latino del
trattato (e, in parte, anche dalle due versioni russa e manchu) che nessuna
delle due parti intendeva rinunziare al proprio spazio “ecumenico”
ma era ugualmente in grado di tracciare una linea atta a separare le diverse
potestà giurisdizionali e amministrative. I due imperi, dunque pur
accettando una separazione spaziale delle rispettive sfere di giurisdizione,
non avevano confini[44].
Come l’albergo di Georg Cantor[45], dotato
di un numero infinito dalle stanze tutte occupate che può ancora
accogliere in ogni momento un numero infinito di ospiti, anche “Tutto
sotto il Cielo” e l’Ecumene potevano accogliere nello stesso tempo
e nello stesso spazio due imperi universali[46].
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/ transl. exclusively for the Shanghai Courier, Cambridge Un. Library -
CRD.88.48, Celestial Empire Offices, sec. XIX.
[Un
evento culturale, in quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza, rende
impossibile qualsiasi valutazione veramente anonima dei contributi ivi
presentati. Per questa ragione, gli scritti di questa parte della sezione
“Memorie” sono stati valutati “in chiaro” dal Comitato
promotore del XXXVI Seminario internazionale di studi storici “Da Roma
alla Terza Roma” (organizzato dall’Unità
di ricerca ‘Giorgio La Pira’ del CNR e dall’Istituto
di Storia Russa dell’Accademia
delle Scienze di Russia, con la collaborazione della ‘Sapienza’ Università di Roma, sul tema:
MIGRAZIONI, IMPERO E CITTÀ DA ROMA A COSTANTINOPOLI A MOSCA) e dalla
direzione di Diritto @
Storia]
[1] Cfr. Sebes S.J. 1961,
5 ss.
[2] Cfr. Sebes S.J.
1961, 14 ss.
[3] Sebes S.J. 1961, 26.
[4] Vladimir Mjasnikov (Mjasnikov 1985) sostiene che la guerra attorno ad Albazin era stata accuratamente progettata e preparata
dall’imperatore Qin KangXi per strappare
ai russi la valle dell’Amur, prossima alla regione di origine
della sua dinastia.
[5] Sulla missione
diplomatica di Fëdor Bajkov e sulla lettera
di Aleksej Michajlovič all’imperatore ShunZhi,
cf. Baddeley 1919, Stary 1974, Maniscalco Basile 2016 e la bibliografia ivi citata.
[6] Cfr. Scarpari 2010,
197 e Scarpari 2009, 12.
[7] Per una definizione del campo semantico del termine Huangdi e delle sue implicazioni sacre, cfr. Scarpari 2010, 201.
[8] Che Omeljan Pritsak, analizzando la struttura istituzionale delle orde nomadiche che da Est si riversavano verso Occidente attraverso le pianure dell’Asia centrale, chiama “pax.”
Cfr. Pritsak 1983.
[9] Su questo punto, cfr. Catalano 1995, Catalano 2000, Catalano 2015. Cfr. anche Burbank e Frederic 2010, 445: «The idea of a universal empire linked to a single universal
faith – Christianity –
left a lasting imprint on later empires
that emulated Rome. Yet when Constantine moved his capital to Byzantium, he and his successors, while relying
on the church to shore up their power, adjusted
their mode of rule to the multiple peoples, cultures, and economic networks
of the eastern Mediterranean. The eastern Roman empire left a different
version of Christianity to empires, like Russia,
that took shape at the edges of its cultural orbit».
[10] Cf. Catalano e Pašuto 1989,
291.
[11] Catalano e Pašuto 1989, 275.
[12] Ševčenko 1954.
[13] Cf. Scarpari 2009, 11 «Il Cielo è
rotondo e la Terra è quadrata»
recita un antico testo (HuainanZi – I Maestri
di Huainan, cit. in Scarpari 2010, 194).
[14] Dall’ode Beishan (北⼭ –
Montagne del Nord-VIII sec. a C.) ne Il Classico
delle Odi, cit. in Scarpari 2009, 15.
[15] Ševčenko 1954.
[16] Scarpari 2010, 198.
[17] Jiang Yonglin 2011.
[18] Scarpari 2015.
[19] Cfr. Peng
He 2014, 51 ss. Scarpari 2015.
[20] Cfr.
Stary 1974, Sebes S.J. 1961.
[21] Come è
il caso di Gantimur,
capo dei Dauri – una tribù al confine cinese, tributaria dell’impero cinese – che era stato ribattezzato Gantimurov e annobiliato quando si era sottomesso alla Russia. Cfr. Chen 1966.
[22] Sulla precedente ambasceria
moscovita in Cina guidata
da Fëdor Bajkov, cfr. la bibliografia citata
nella nota 6.
[23] La descrizione di tutte le fasi della trattativa sono raccontate nei dettagli nel diario di Thomas Pereira,
uno dei due gesuiti incaricati dall’imperatore KangXi
di fungere da interpreti e da mediatori nella negoziazione del trattato.
Cfr. Sebes S.J. 1961.
[24] Sebes S.J. 1961, 284.
[25] Per un analisi delle differenze fra i tre testi del trattato, Cfr. Sebes S.J. 1961, 149 ss. I tre testi sono pubblicati in Stary 1974 e in Maniscalco
Basile 2016.
[26] La traduzione
dal manchu è
in Stary 1974.
[27] Sul significato del termine bugdychan, cfr. Stary 1996, cit. in Giraudo 2001.
[28] Nel testo russo del trattato di Nerčinsk, però, il termine “eterno” (večnyj) non compare, ma esso compare invece con relativa frequenza nei testi russi dei trattati successivi fra Russia e Cina. Cfr. AA.VV.
1958. Poi, nella versione russa, la clausola che dispone che del “patto eterno” si dia notizia con delle lapidi poste lungo i nuovi “limiti” è
affidata al libito dell’imperatore cinese. In quel testo, che secondo Sebes S.J. (Sebes S.J. 1961, 152) avrebbe costituito solo una bozza da riversare nella versione
ufficiale in latino, si legge: «… Se Sua Altezza il Bugdychan desidera da parte sua incidere questi articoli sulla frontiera, elaborati nel corso delle
trattative diplomatiche, su delle lapidi
e erigerle lungo
la frontiera come ricordo, Noi lo lasciamo
fare a Sua Altezza
il Bugdychan, secondo la sua volontà.» In realtà, come ho sostenuto in un precedente studio (Maniscalco Basile 2016), le diverse versioni
erano anche e forse in modo più
incisivo quelle che manifestavano l’idea che ognuno dei due imperi desiderava
dare di se sesso al proprio
interno.
[29] Cfr. in lingua italiana Alekseeva 2015.
[30] Genesi10.2; Ezechiele
38.22 e 39.6; Apocalisse 20.7.
[31] E si chiede se l’influenza di Francisco de Victoria
e di Francisco Suares (ma anche
quella del De iure belli ac pacis di
Ugo Grozio), le cui opere erano certamente note ai gesuiti
in Cina, si fosse fatta sentire.
[32] Cfr. Ciccarini 2008. Su Belobockij, Jean-François Gerbillon
così annota nel suo diario: «Les Moscovites exposerent leur commission par la bouche
d’un des leur gentilhommes de l’Ambassade, qui ètoit Polonois
de Nation, et qui avoit étudié en Philosophie et en Théologie à Cracovie;
il s’explicoit aisément et assez clairement
en Latin …»;
cfr. Halde S.J.
1735, vol. IV, 191. Pereira era poi convinto che Belobockij fosse cattolico (Sebes S.J. 1961, 232, nota 156 e 251). Belobockij, infatti,
prima di convertirsi all’ortodossia, era probabilmente appartenuto alla Compagnia di Gesù (cfr. Ciccarini 2008).
[33] E ciò
anche grazie alla relativa difficoltà di rinvenire
una struttura istituzionale che corrisponda in modo univoco all’ idea giuridica
di impero. Cfr. Burbank e Frederic 2010.
[34] Anche se del contributo “ideologico” degli interpreti alla stesura del trattato Pereira non fa cenno nel suo diario.
[35] In realtà, ritiene Sebes, poco più che delle bozze.
[36] Nella realtà istituzionale, il trattato rappresentò una spiacevole necessità per la Russia che, come già detto, dovette rinunziare a una buona parte delle sue pretese territoriali. La Cina dal canto suo
– costretta a negoziare da pari a pari
– si era risolta a una trattativa umiliante
svolta fuori dai confini dell’impero quasi esclusivamente per ragioni militari e politiche interne all’impero che rendevano
imbarazzante che il testo di un trattato
“paritario” venisse conosciuto a Pechino.
Cfr. anche Zeng, che riporta
il memoriale del Marchese
Zeng Guofan in cui si critica aspramente il testo di un trattato
concluso nel XIX secolo (dal testo non si ricava esattamente quale) che avrebbe posto
la Cina in posizione di evidente
svantaggio nei
confronti della Russia (chiamata “Grande Impero”). Purtroppo, non è disponibile il testo in cinese, quindi non è possibile risalire all’espressione cinese per “Grante Impero” (forse DaDi –
⼤帝). Infatti, del testo cinese del trattato
non esiste traccia
nelle fonti cinesi
del tempo, e gli annali imperiali (Qingshilu) riportano
solo il testo da iscrivere nelle lapidi di confine: il testo integrale del trattato era stato opportunamente occultato! (Sebes S.J. 1961, 120, Shi Zhihong 史志宏 (1992),
Qingshilu 清實錄, in Zhongguo da baike quanshu
中 國⼤百科全書, Zhongguo lishi 中國歷史 (Beijing/Shanghai: Zhongguo
da baike quanshu chubanshe), Vol. 2, 842 ss.
[37] Sebes S.J. 1961, 282.
[38] Su questo punto, cfr. Catalano 2000, 41.
[39] «Такожде от вершины тоя реки Каменными горами, которые начинаются от той вершины реки и по
самым тех
гор вершинам, даже
до моря протягненными,
обоих государств
державу тако
разделить …
Река, имянем Горбица, которая впадает, идучи вниз, в
реку Шилку, с
левые стороны, близ реки Черной, рубеж между обоими государствы постановить». Cfr. Stary 1974 e Maniscalco Basile 2016.
[40] Giraudo e Maniscalco Basile 1994, 163.
[41] Cfr. Sreznevskij 1893, 179.
[42] Sreznevskij traduce “granica” come terminus; cfr. Sreznevskij 1893, 584.
[43] Il testo manchu impiega
invece termini più generici. Il corrispondente di “limites” è
“jecen” (“confine” di natura non specificata) e quello corrispondente a “deržava” è
“harangga” (dominio). La traduzione
dei termini contenuti nella versione
manchu del trattato
è dovuta alla cortesia
di Giovanni Stary.
[44] Sulla possibilità teorica della
coesistenza di più imperi, cfr. Schmidt 1941, 71, cit. in Catalano 2000, 49.
[45] Cfr. Cantor 2012. Nella matematica
degli insiemi transfiniti di Cantor, un insieme infinito, come quello, per esempio,
dei numeri naturali, può contenere
al suo interno altri insiemi
infiniti, come quello
dei numeri pari e quello dei numeri dispari, entrambi
altrettanto infiniti.
[46] La coesistenza di due imperi costituiva comunque un problema ideologico e istituzionale tutt’altro
che banale. Per esempio, l’incoronazione di Carlo Magno era stata resa possibile (nonostante il disappunto del trono costantinopolitano) dal fatto che sul trono di Costantinopoli sedeva Irene, e una donna per secolare tradizione
non poteva portare la corona imperiale romana e invece a torto si era attribuita
il titolo di βασιλεὺς e αὐτοκράτωρ τῶν Ῥωμαίων. Leone
III per questo aveva ritenuto vacante il trono di
Costantinopoli e incoronato Carlo Magno come imperatore romano.